Quantcast
Channel: il Politico.it » Catricalà
Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

Ultimi paradossi populismo berlusconiano Pdl addita antidemocraticità (poteri forti) ‘Pd’ vi ri(n)corre (da sempre) per salvarsi Blair: ‘Destra/sinistra non han più senso’ Da berlusconismo esce solo con Politica Che è (“anche”) “ciò” che serve all’Italia di GINEVRA BAFFIGO

$
0
0

Politica che non è – naturalmente – né la strizzata d’occhio di Cicchitto alla base popolare; né coincide con la concezione bersaniana di un gioco di squadra che altro non è che l’àncora di salvataggio di leadership inconsistenti. Che sono costrette, perciò, a farsi sostituire. Nell’assunzione di responsabilità. Della guida. Che si declina - in primo luogo – nell’indicazione della strada. E nel sostanziamento del progetto. Oggi l’Italia non ha (?) né l’una né l’altro. E “deve” affidarsi alla dettatura della Bce. Rispetto alla quale comunque il profilo “tecnico” – e la stessa affinità culturale – di Monti è la garanzia, semmai, di una indipendenza che la nostra politica politicante autoreferenziale di oggi non è – appunto – in grado di assicurare. Ma così il Paese vivacchia. E non (se) ne esce. L’attuale classe dirigente non può sopravvivere a questo viatico concepito da Napolitano per salvarci dall’onda lunga della passività berlusconiana. Ovvero il momento in cui alzare gli occhi dallo Specchio – superare l’autoreferenzialità, che è un tutt’uno con il formalismo – non può essere calendarizzato oltre le (future) dimissioni del governo Monti – per mandato esaurito – o la fine della legislatura. E comincia con un profondo rinnovamento della classe dirigente. Rinnovamento – in questo Bersani ha ragione - aperto. A chi non (si) guarda allo specchi(ett)o (retrovisore). E alza, piuttosto, lo sguardo (all’orizzonte). La nostra vicedirettrice ci racconta ora l’ultimo giorno di Berlusconi premier.
di GINEVRA BAFFIGO

Nella foto, un (con)vinto Fabrizio Cicchitto

-

di GINEVRA BAFFIGO

Il momento tanto atteso dalle opposizioni e da una parte sempre crescente degli italiani è infine giunto: Silvio Berlusconi si è dimesso dalla carica di presidente del Consiglio.

Fra i cori e gli insulti della piazza, Berlusconi conclude anticipatamente il suo mandato, “abdicando” in favore del neosenatore Mario Monti. Il governo resterà in carica il tempo necessario al disbrigo degli affari urgenti e l’attenzione è ormai tutta rivolta ai possibili nomi dell’imminente esecutivo. Fra questi, quello dell’ex rettore della Bocconi sembra destinato alla guida del governo tecnico a cui il Pdl sin d’ora intende garantire il proprio sostegno, malgrado in eredità abbia lasciato null’altro che un’Italia dissestata politicamente ed economicamente logorata.

Il “governo dei bocconiani” ad ogni modo non sembra temere l’arduo compito. Non perde tempo e si mette all’opera subito dopo l’approvazione in via definitiva del ddl Stabilità. Con 379 voti a favore, 26 no e 2 astenuti, nonché la promulgazione da parte di Giorgio Napolitano, il ddl diviene infine legge. Ma l’ultimo atto politico di questa stagione berlusconiana sono state le dichiarazioni di voto a Montecitorio.

Come era fin troppo facile prevedere non sono mancati momenti di forte tensione in Aula. Un climax di rabbia, impotenza e rimpianti, che tocca il suo apice dopo gli interventi di Dario Franceschini e Fabrizio Cicchitto: da una parte i sostenitori del Cavaliere gridavano «Silvio, Silvio», dall’altra i lumbard minacciavano «voto subito». In particolare le parole di Franceschini sottolineano con amarezza l’impasse della politica italiana: «Quanto tempo si è perduto. Quanto sarebbe stato diverso se il 14 dicembre dell’anno scorso quel voto fosse andato diversamente, non avremmo sprecato un anno. E di quelli che hanno causato quella situazione ci sono nomi e cognomi agli atti parlamentari, e non li dimenticheremo». Altrettanto acre è la replica di Cicchitto, che sottolinea come le opposizioni abbiano altrettanto fallito in questi mesi di crisi di governo:

«I mercati sono riusciti dove non è riuscita la sinistra italiana, a far cadere Berlusconi, grazie ad un complesso di interessi economici e finanziari che oggi gioca una partita decisiva sulla tenuta dei governi e sulla tenuta democratico».

Ma le parole più dure di questa storica giornata parlamentare le pronuncia il “responsabile” Domenico Scilipoti: «Il giorno 14 di dicembre 2010 ho fatto una scelta e di quella scelta non mi pento», ribadisce il deputato di Popolo e territorio, «è stata sventata un’operazione che cercava di portare a Palazzo Chigi un personaggio importante che aveva rapinato gli italiani con i derivati (l’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, ndr)». Ed ancora: «Oggi si sta facendo un colpo di Stato perché questo è l’ultimo parlamento eletto dai cittadini italiani». «Da domani –insiste Scipoliti – saremo commissariati da un personaggio che appartiene alla lobby delle banche ed è stato indicato non certo per salvare l’Italia, ma per garantire un gruppo di mercenari e di delinquenti».

Berlusconi e la Lega. Mentre l’appoggio all’economista sembra giungere anche dallo scettico Di Pietro, il Senatùr non intende retrocedere dalla posizione manifestata in questi giorni. Inamovibile dal suo patto con gli elettori, Umberto Bossi ribadisce: «Con Monti la Lega sarà all’opposizione. Come si fa a sostenere un governo che farà portare via tutto, che privatizzerà le municipalizzate?». La Lega non appoggerà altri governi che non siano di centrodestra. Ma, seguendo un banale sillogismo, il dato politico che emerge è: se La Lega non appoggia Monti, ma il Pdl sì, il Carroccio è da considerarsi ancora un alleato di Berlusconi?

Bossi si mantiene vago, con un «Vedremo». Ma per molti il più grande successo strategico del Cavaliere, ovvero quello di essersi conquistato un potente alleato quale la Lega, è ormai da relegare ad una stagione politica tramontata.

Caso Letta. In questi 17 anni al potere Berlusconi ha sempre sorpreso, rinnovando e sconvolgendo gli schemi istituzionali e politici del Bel Paese.

Non è certo da meno in questa giornata, in cui si celebra per molti la fine della sua storia politica. Il Cavaliere, simbolo della Seconda Repubblica, abbandona il “campo” e lascia alle nuove leve il compito di traghettare il Paese in una nuova fase. Ma nel farlo, non poteva non apportare un segno distintivo, un’ultima nota di colore: “Mi dimetto, ma a condizione che…”. Il suo ultimo capolavoro.

Ovviamente l’uomo di Arcore è consapevole di non avere più il potere di imporre delle condizioni arbitrarie. Si accontenta di passare il testimone della lettera della Bce al senatore a vita e di partecipare mestamente al totoministri per i superstiti del Berlusconi IV.

In particolare, il Cavaliere porta avanti quest’ultima battaglia per il suo fedelissimo sottosegretario Gianni Letta. Lo vorrebbe vicepremier, ma sa anche che l’opposizione difficilmente potrà accettare una simile candidatura. Prova allora a posizionarlo come guardasigilli, ma c’è chi non perde tempo a demolire i sogni grigi di un uomo al tramonto. Antonio Di Pietro si scaglia con violenza contro quella che al momento si presenta solo come un’ipotesi: «Non credo che nella ricostruzione possa entrare il Richelieu di un governo piduista come quello di Berlusconi, è come se ci fosse chi ha fatto il palo mentre il complice svuotava la cassaforte». Più diplomatico il capogruppo dell’Idv alla Camera: «Letta è un politico a tutto tondo – dice Massimo Donadi – noi diciamo no a chi ha fatto il sottosegretario del governo Berlusconi. In caso di presenza di esponenti del governo Berlusconi nel prossimo esecutivo non saremo favorevoli. Poi vedremo se votare contro o astenerci».

Ed in effetti in una compagine squisitamente tecnica il braccio destro del premier avrebbe assunto un amaro sapore politico.

Ma in serata arriva il passo indietro dell’ex dirigente Fininvest: «Con questa esperienza – dice nell’ultimo Cdm di un governo presieduto dal Cavaliere – concludo il mio percorso. Spazio ai giovani, che assumano la responsabilità».

Totonomi. Quanto ai nomi più quotati in queste ore, al ministero della Giustizia potrebbe andare Ugo De Siervo, ex presidente della Corte Costituzionale; alla Difesa il generale Rolando Mosca Moschini, ex comandante generale della Guardia di Finanza, membro per l’Italia del comando militare dell’Unione europea e attuale consigliere militare del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Al Welfare, prende corpo l’ipotesi della guida di Carlo Dell’Aringa, economista della Cattolica. Sullo scranno del ministero della Salute potrebbe sedere l’oncologo Umberto Veronesi, mentre si sospetta che dietro al caloroso abbraccio, con cui Emma Bonino ha salutato Mario Monti al suo ingresso in Senato, ci possa essere un posto di titolare al ministero delle Politiche comunitarie. Ed infine il caso Eurotower sembra concludersi con un sospetto lieto fine. Lasciato l’incarico alla Bce, Bini Smaghi resterebbe sulla scena – ottendo il promesso incarico “compensativo” – come possibile ministro dell’Economia. Mentre per il presidente dell’Antitrust Catricalà si apre la porta del ministero per le Attività produttive, così come è altamente probabile che il segretario generale della Farnesina Massolo prenda il posto di Franco Frattini.

Quale che sia la formazione del prossimo esecutivo italiano, un dato è evidente: dietro questo rebus politico si nasconde la verità della sciarada di questi mesi, la “fine” di Berlusconi (e probabilmente del berlusconismo), e i perché dell’atteggiamento di Napolitano. Un suggerimento: i nomi sono la chiave.

GINEVRA BAFFIGO


Viewing all articles
Browse latest Browse all 2

Latest Images

Trending Articles





Latest Images